Perchè sti debosciati dei gggiuvani d’oggi
non hanno mai sentito nemmeno i Deep Purple
Moris
Con questi chiari di luna (in danese: måneskin) una band come i Måneskin è un toccasana per la musica rock. Almeno loro, nel 2023, si impegnano, si sbattono, ci credono.
Sbagliato! Non dovete fare così. E non perché non dobbiate accontentarvi. È giusto che vi accontentiate. La vita è sacrificio e accettazione dell’ineluttabile, come dice Tanos prima di sterminare metà della popolazione dell’universo, per cui se vuoi sentirti i Måneskin o Loretta Goggi sono cazzi tuoi e nessuno può dirti niente. È giusto che tu li senta. Su col morale, non vergognatevi. L’Atlantic ha recensito l’ultimo loro album – Rush!, uscito il 20 gennaio per Sony Music ed Epic Records – e non c’è altro da aggiungere se non che quello precedente era meglio. Siamo qui riuniti oggi, piuttosto, per capire perché i Måneskin.
C’era una volta il rock. Non è una battuta. Il rock è morto. Marylin Manson lo aveva intuito e cantato nel 1999, ed era vero. Non è una tragedia ma un fenomeno storico. Il rock non è una persona, non puzza, è una cultura musicale, e le culture musicali rispecchiano il mondo in cui si muovono. Il rock potrebbe ritornare, risorgere come Cristo, e se così non sarà (a pensarci bene è molto probabile, visto che anche Cristo manca all’appello dal 2023) amen. Nel frattempo abbiamo tonnellate di roba di pregevole fattura prodotta a partire dal 1965. Era pure ora che morisse.
Quindi, perché i Måneskin (si pronuncia così). Perché nel deserto è sufficiente un’oasi per sentirsi in paradiso, ed è sufficiente quindi una parvenza di rock per fare rock. Inoltre, se ad ascoltare questa parvenza di rock sono labili ventenni con tutta la vita davanti per costruirsi un’identità, chi siamo noi per fare i bacchettoni. Vero, Shiloh?
Probabilmente si annoiava anche lei, oltre alla mamma.
Se il mondo di oggi fosse strutturalmente razzista e restìo a fare della sessualità un orientamento esprimibile nelle forme più libere accadrebbe che la manifestazione della sessualità verrebbe relegata alle parate LGBT, ai vestiti colorati, alle quote rosa dei telefilm, e gli attori di Hollywood con la pelle scura avrebbero finalmente garantito tutti gli anni almeno una nomination agli Oscar. Fortunatamente, non viviamo in un mondo così!
Applicando questo esempio politico alla musica il fenomeno Måneskin diventa comprensibile senza snobberie. Il mondo dei produttori di musica oggi è restìo a interessarsi a gruppi musicali formati da una chitarra (se non due), un basso e una batteria. In primo luogo perché la registrazione diventa troppo complessa, molto più complessa di un campionamento vocale con base elettronica. Ed è restìo soprattutto a produrre musica scabrosa, cioè rock, roba controversa che spacca in due il conformismo e rende i profitti altalenanti. Per cui è naturale che questi produttori, nel momento in cui gli si para davanti il primo gruppo di adolescenti nati dopo la morte del rock che vogliono fare rock, non li manderanno certo a studiare rock, col rischio magari che poi si mettono in testa di fare cose originali, ma direttamente ad aprire i concerti dei Rolling Stone. Mi dispiace solo per Tom Morello.
Non crogioliamoci quindi in pischellate nostalgiche sul vero rock che i Måneskin rappresenterebbero o non rappresenterebbero. Questa è la dinamica alla base dell’engaging dei Måneskin. Il rock è morto.
Piuttosto direi: tumz tumz tumz tumz tumz. La musica oggi è percussiva. Compressa nel minuto di attenzione che nutre i feed dei reels dello scroll telefonico, deve avere un’immediatezza immediata, dirti subito quello che vuole dire senza fartelo metabolizzare, per cui deve pulsare. E i Måneskin pulsano. Rush! pulsa tutto il tempo. Titoli delle canzoni in caps e via, tutto pronto. Tanto poi sul palco questa assenza di contenuto, questa sonorità flaccida e ripetitiva, si recupera con una performance.
Nel deserto del rock sono quindi sufficienti mascelle prospicienti, collo taurino, un fisico slanciato e una femminilità androgina per dire rock. La cosa più importante è ostentare grande sicurezza sul palco senza mai problematizzare quello che fai. Ben vengano i Måneskin, a uso e consumo di figli e nipoti che però, mi dispiace per Damiano che è bono, poi fatta una certa pure basta.