Manifesto del Partito dell’Ascoltatore di Musica

There are two kind of music: good music and other kind. La bellissima citazione apocrifa del Duca di Ellington parla agli ascoltatori di musica. Non ai musicisti, che poi magari sono anche ascoltatori, ma proprio agli ascoltatori di musica. Proprio a loro. Appassionati di genere, audiofili, dilettanti musicisti audiofili appassionati. Aprite bene le orecchie: there are two kind of music. Good music, and other kind. Non c’è altro. Hai voglia di fare i distinguo di genere. There are two kind of music. Punto.

L’ascolto musicale non ha orientamento, è totalizzante, perché c’è una componente mistica associata all’ascolto. La musica è la musica, è quel che è. Ma l’ascolto musicale è sacro, non si scherza. C’è chi ascolta la musica sacra ma per l’ascoltatore di musica è la musica ad essere sacra e va ascoltata tutta, anche la sacra. I generi musicali non esistono. Sì, esistono quei termini con cui cataloghiamo le cose che si ascoltano ma è un po’ come per la linguistica: si può ignorare la grammatica ma la storia no, è deontologicamente scorretto. La deontologia dell’ascolto non ci obbliga a conoscere la teoria musicale, l’armonia, le regole del gioco, ci obbliga ad abbracciare la bellezza della musica trasversalmente ai generi, perché ogni genere ha una sua qualità estetica che fa la storia della musica. Il genere musicale può essere una preferenza, un orientamento, ma ascoltare tutto è un dovere.

Si può ascoltare tutto pur senza avere cognizioni di armonia o di storia della musica? Certo, basta avere tutte le rotelle a posto: tutte le intelligenze sono uguali. Uguale la sensibilità, uguale il giudizio: tutti, ma proprio tutti, possono apprezzare tutto di tutta la musica.

I generi musicali sfumano tra loro, si richiamano l’un l’altro come l’uovo e la gallina, come la metonimìa nel linguaggio. Il significante (la parola) ha un significato che si concatena a una parola, che se ne concatena a un’altra, e così via. Si chiama metonimia, lo slittamento intrinseco del fenomeno linguistico. Allo stesso modo funzionano i generi nella musica. E limitarsene a uno solo, a un pugno di generi, è un oltraggio alla propria sensibilità.

Poi ci sono le proprie preferenze, le traiettorie di ascolto nel corso di una vita. La propria autobiografia di ascoltatore. Personalissima e allo stesso tempo uguale a tantissimi coetanei e conterranei. L’ascolto musicale è sempre generazionale, d’epoca. È la propria deliziosa adolescenza di ascolto. Quei generi che ti toccano, che ti pungono, ti appartengono per sempre e ti riempiono l’anima. Ma l’ascoltatore di musica è qualcosa di più dei generi preferiti di ascolto. Quando si tratta di ascoltare la musica bisogna muoversi come giardinieri in una foresta, abbandonare il proprio orticello e avventurarsi in uno spazio immenso con addosso le sole proprie orecchie. È una questione di cosmopolitismo: bisogna essere giardinieri col proprio provincialismo ma avere il coraggio di avventurarsi nella foresta. 

L’ascolto musicale è un dovere, e come ogni dovere bisogna responsabilizzarsi e ascoltare tutto. Attenzione, non letteralmente tutto, ma tutto ciò che è buono. There are two kind of music. L’unica cosa che è lecito ignorare è tutto il resto. Abbiamo un dovere, cari ascoltatori di musica. Va ascoltato tutto ciò che è buono, saporito, genuino, originale, guizzoso, onesto, sprizzante energia megagalattica. I capolavori. I grandi classici. I gruppettini di nicchia dalla grande sensibilità. Va ascoltato tutto. È come con i libri: i grandi classici e i grandi libri sono troppi per riuscire a leggerli tutti prima di morire. Una vita non basta. Bisogna allora avere il coraggio di attraversare l’oceano della storia della musica con le sole proprie piccolissime orecchie.

Stay hungry, stay foolish, quella frase sul retro di copertina del Whole Earth Catalog del 1974, ripresa da Steve Jobs nel 2005 nel famoso discorso alla Stanford University, non c’entra niente con il liberismo. È un inno all’audiofilia, che sia con l’hi-fi o col telefonino. Mangiare la buona musica è nutrirsi dei maestri che l’hanno fatta.

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