Jack White – Boarding House Reach

“E voglio scrivere come farebbe Michael Jackson: invece di occuparmi degli strumenti o canticchiare melodie, rifletterci sopra. Per fare tutto nella mia testa, in silenzio, usando una sola stanza”.

John Anthony Gillis (via)

Fa specie sentire Jack White usare così francamente il sintetizzatore, dopo che ti ha fatto una testa così sull’importanza della semplicità della composizione, sull’accontentarsi di un piano e di un piede per tenere il tempo. Mr White è quello che fa una slide guitar così:

Allora è un segno dei tempi se anche uno degli esponenti di punta dell’hard blues casereccio ha fatto il suo più bel album lavorando sull’elettronica. Forse perché il sintetizzatore può comprimere come nessuno. E a lui piace il suono compresso. Se oggi è ufficialmente sdoganato il discorso sull’automazione, l’analisi psicometrica e il reddito universale, è arrivato il momento che anche mr White si cimenti con gli effettazzi.

C’è tutto il suo cuore qui. Un disco che inizia con un’ode all’amore e si chiude con un trio jazz di piano, batteria e chitarra. In mezzo, un ricco bestiario di amplificazioni percussive. C’è molta percussione in questo disco. Ma mr White suona e ti fa sentire tante altre cose: l’immancabile chitarra, lo spirituale organo, il freddo sintetizzatore, un corposo basso. Il che può far girare i nervi solo se si è un detrattore della prima ora di John Anthony Gillis, classe ’75. Jack è fatto così, i White Stripes è roba sua, i Raconteurs è roba sua. Il suo nervosismo, quell’irrequietezza che gli trasfigura lo sguardo e le espressioni del viso, è dovuta al fatto che è il più giovane di dieci fratelli, non ha avuto un papà musicista né una mamma diplomatica e – come racconta in Get in the mind shaft – la musica l’ha dovuta capire e imparare da solo.

Boarding House Reach è un netto salto di qualità produttivo rispetto al passato. È il suo lavoro più stratificato ed espressivo. Si prenda Connected by love, la prima traccia del disco e la prima scritta. Il primo ingresso del coro femminile – voci che ricorrono in tutte le canzoni – è a un volume leggermente più basso degli altri ingressi. Per farli entrare morbidi.

C’è il classico pezzo à la white stripes (Over and over and over, pensato proprio per il vecchio gruppo) e brani crossover tra rap e soul (Ice station zebra). Il tutto spruzzato con una estro funky, cosa raramente sentita dal nostro. È il suo disco più bello. Compresso, corposo, rabbioso, coerente. Gli strumenti sono spremuti, urlano. Tranne l’organo, luogo di riposo. La voce è isterica, soul, ironica come GLaDOS. (Everything you’ve ever learned). Un disco di spessore, intriso di autarchia, che trabocca stile. Ha usato tre studi ma ha iniziato a registrarlo su una bobina aperta (non dimentichiamoci che fabbrica chitarre con la Coca Cola e quella rossa e bianca dei White Stripes l’ha comprata a un mercatino delle pulci). BHR però è tutto fuorché un consesso onanistico: mr White ha tanto da esprimere ed è volato tra il Third Man Studio di Nashville, il Sear Sound di New York e i Capitol Studios di Los Angeles per regalarci un album potente e ponderato.

Ps: A Pitchfork, per le stesse ragioni, non è piaciuto affatto

  • Punctum
  • Originalità
  • Spasso
  • Produzione
  • Longevità
4.2

Riassunto

Artista: Jack White
Titolo: Boarding House Reach
Produttore: Jack White
Etichetta: Third Man, Columbia, XL
Data di pubblicazione: 23 marzo 2018
Metacritic: 74