Genesis 1970/1976

I Genesis sono un gruppo conosciuto ai più per sentito dire e per il suo cantante, Peter Gabriel, piuttosto che per un effettivo ascolto e/o una conoscenza dei loro lavori. A questo si deve purtroppo aggiungere una loro difficile catalogazione: progressive, rock teatrale, rock sinfonico, albore di futuro rock decadente, ecc. Riteniamo opportuno approfondire la loro conoscenza, specificatamente dei loro dischi, senza cadere in catalogazioni di genere e però fermandoci al 1975, anno in cui Peter Gabriel lascia il gruppo per motivi personali e musicali, evitando i lavori successivi del gruppo, a poco a poco sempre più autocelebrativi fino a diventare addirittura imbarazzanti.

Come vogliamo considerare I Genesis: mito o truffa? Cosa rappresentano nella storia della musica, ma anche, come succede a fenomeni planetari, nel panorama culturale del periodo?

Siamo alla fine degli anni ’60. La cultura hippy, il pop, la guerra in Vietnam, il boom economico che coinvolge la maggior parte del mondo civilizzato hanno “corrotto” il rock. La musica diventa sempre più moda, politica, un forma di arte monopolizzata, strumentalizzata e massificata. Anche i vari generi musicali che cominciano a nascere, quali hard rock e lo stesso prog, tendono a diventare in breve solo business. I Beatles sono solo l’esempio di successo, di denaro e nient’altro (non per colpa loro). Molti, troppi non capiscono la loro parabola, non imparano dalla loro esperienza musicale e personale.

I Genesis trovarono in poco tempo un modo personale di uscire da questa conformità, da questa stagnazione, aprendo la strada agli anni ’70, alla revisione degli errori degli anni Sessanta, anche se non riuscirono a creare una vera risposta o contro proposta definita.

Aggiornamento ed abilità tecnica, Beatles e r’n’b, letteratura popolare e favole, folclore, timbro vocale divennero il linguaggio dei Genesis aggredendo con parole e note il benessere sociale ed intellettuale del tempo arrivando a poco a poco con gli ultimi due (capo)lavori musicali, “Selling England by the pounds” e “The lamb lies down on broadway” a porsi le domande sulla vita e sulla morte proprie di chi non si ritrova e non si riconosce pienamente nel mondo dell’epoca, al sesso, alla rappresentazione di una crisi personale, o una ricerca di identità. Tutto non senza ironia. Promotore all’interno del gruppo è Peter Gabriel che poi svilupperà pienamente alcuni di questi temi nei suoi lavori individuali successivi (si pensi solo alle copertine dei primi quattro album con la sua faccia sfigurata o liquefatta).

La ricerca musicale, linguistica e personale mette in crisi la critica dell’epoca che da una parte cerca di bloccare in confini definiti il gruppo e dall’altra di sviare l’ascoltatore verso altri generi più comprensibili.
I Genesis, non solo naturalmente, ma anche i King Crimson ed altri gruppi dell’epoca, introdussero infatti un nuovo modo di ascoltare e capire la musica. In aggiunta i Nostri introdussero anche un nuovo modo di vedere e vivere la musica con concerti sempre più scenografici, con maschere e “copioni” per rendere ancora meglio il messaggio che volevano trasmettere.

FROM GENESIS TO REVELATION

“Non eravamo neanche una vera band e non sapevamo suonare i nostri strumenti” ha detto il chitarrista Mike Rutherford.

Il loro esordio è un album al cui ascolto nessuno penserebbe di sentire quello che un giorno verrà riconosciuto come uno dei più importanti gruppi musicali della Storia della Musica. E nessuno investirebbe un soldo su di loro. Ma siamo negli anni Settanta e negli ambienti musicali c’è voglia di rischiare, capacità di riconoscere il talento e possibilità di investirci. Il gruppo risulta formato da Peter Gabriel, voce, Tony Banks, pianoforte, Michael Rutherford basso, Anthony Phillips, chitarra e Jonathan Silver alla batteria. Questo disco, come anticipato dalla frase di Rutherford, verrà disconosciuto nel corso degli anni dagli stessi autori. A parte la versatilità e le capacità vocali di Peter Gabriel e l’ottima qualità delle parti di pianoforte di Tony Banks ha infatti ben poco da offrire, mancante di sezione ritmica, che finisce per annullare anche le parti di basso, e con innesti di parti orchestrali, decise dal produttore del disco Jonathan King, che soffocano le canzoni e ne nascondono le idee originali. Anche la registrazioni in soli tre giorni sicuramente non contribuì alla realizzazione del disco, considerato soprattutto il tipo di musica che i Genesis stavano cominciando a pensare di suonare (e creare).
Diventa l’ascolto di un tentativo acerbo di costruzione di frasi musicali originali, che ondeggiano fra echi psichedelici, Beatles e folk su cui testi biblici, storici e di folklore cercano di aumentarne la particolarità. La giovane età dei componenti del gruppo e la pessima produzione del disco, oltre alle già dette mancanze strumentali, peggiorano il lavoro, rendendolo inutile o comunque non consigliabile. Resta comunque da salvare alcuni testi, la voce di Gabriel, il piano di Banks che soprattutto nelle introduzioni delle canzoni risulta fresco ed originale, forse perché slegate dallo sviluppo delle canzoni, dando la sensazione di interludi.

Stupisce l’esordio dei Nostri pensando ad esempio all’esordio dei King Crimson, dei Led Zeppelin, degli Yes, solo per parlare di alcuni gruppi del periodo.
Poco dopo la pubblicazione dell’album i Genesis e King si lasciano, e da allora diventano liberi di poter fare la musica che vogliono senza immaginare quello che sarebbero diventati.
Sicuramente volevano suonare e vivere di musica, quindi non senza accettare mance dai genitori ma vivendo dei pochi incassi dei loro concerti. E proprio in questa fase i Genesis mettono a punto quello che sarà uno dei loro punti di forza, lo spettacolo dal vivo, non per gli atteggiamenti da star, ma per la capacità di coinvolgere il pubblico. Grazie al contratto con la Charisma riescono a pubblicare il loro secondo album.

TRESPASS

Un salto in avanti rispetto al precedente, pur essendo ancora comunque un disco di transizione. Il gruppo è pressochè lo stesso, con la sola sostituzione del batterista. Al suo posto John Mayhew, ma per poco. Senza la pressione di realizzare un disco pop o che comunque si infilasse in qualcosa di già conosciuto, il gruppo riesce a dimostrare la propria personalità e potenzialità. L’album è compsto da sei brani dove risaltano “Visions of angels” con il suo gran finale classico, “Stagnation”, acustica, e “The Knife” con il suo violento attacco rock e la forte carica ritmica (che sarà destinata ad essere la chiusura di tutti i concerti dei Genesis dell’era Gabriel). E’ un’altra band rispetto al fiacco “From Genesis to Revelation”, cresciuta a dismisura nel breve spazio di un anno, sia musicalmente che professionalmente. E’ proprio la mania di perfezionismo, che alla fine delle sessioni di registrazione, porterà Anthony Phillips e John Mayhew ad abbandonare il gruppo.
Antony Phillips, (“The Knife” è praticamente sua), dirà: “Eravamo solo un pugno di perfezionisti. (…) La musica era diventata la fonte della mia più profonda sofferenza”. L’abbandono dell’amico è un brutto colpo, ma, come accade nelle migliori storie, il gruppo riesce a cogliere l’occasione per fare invece un decisivo balzo in avanti, decidendo di cambiare anche il batterista.
I temi trattati variano dal religioso/criptico (“Looking for someone”, “Visions of Angels”), il letterario/epico (“Dusk”, “Stagnation” e “White mountain”) culminando in “The Knife” che riunisce tutti i temi dell’album con un cambio di marcia rispetto agli altri brani anche per la violenza sonora e verbale. Ed il coltello piantato sul retro di copertina lascerà un ulteriore segno nella storia del rock.
L’album risente di una certa voglia di strafare, eccessivamente barocco in diversi punti. La voglia di farsi notare, di far sentire la propria diversità sonora, di voler essere i precursori e contemporaneamente i leader del cosiddetto “prog” appesantisce il risultato, ma a intorno ai vent’anni comporre un lavoro del genere non è da tutti (anzi…).

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