Field Music – Open Here

I Field Music sono un duo formato da due fratelli inglesi, Peter e David Brewis. Open here è il loro settimo album. Nonostante i dischi precedenti, l’endorsement della critica musicale e degli addetti ai lavori – su tutti il compianto Prince – non hanno raggiunto ad oggi la notorietà che meriterebbero. Non sono ricchi né famosi, anzi questo disco l’hanno registrato e terminato nel loro consueto studio appena prima di sloggiare.

Open Here è nato combattendo contro il Tempo. Il tempo come scadenza per poter terminare l’album prima dello sfratto dallo studio dove hanno registrato cinque dei loro sei dischi precedenti; il tempo come attualità della Brexit («we might get it back … not now, not yet», Daylight saving); la paternità contemporanea dei due fratelli (No king no princess); l’elezione di Trump («wishing it wasn’t true»), l’emarginazione («power […] for the good of somebody else»); il razzismo e le convenzioni («there isn’t only one way to be a girl») ma anche il tempo inteso come ritmo, scrittura musicale che qui raggiunge livelli eccellenti.

Tutto riassunto in questo ultimo lavoro, scrivendo testi di stretta attualità ed immergendoli in ricchi arrangiamenti che dal pop sconfinano nel prog moderno, se vogliamo usare delle classificazioni. Peter Gabriel (IV), i Talking Heads, i Beatles (Eleonor Rigby), Prince (Around the World in a Day), sono i riferimenti che risaltano. Nonostante a volte sembrino melodie già sentite (la mccartiana Checking a message) c’è originalità e modernità, suoni e ritmi creano atmosfere peculiari ed affascinanti.

Partiamo da Time in Joy, con un giro di basso che ricorda il primo Peter Gabriel solista, ma con variazioni di ritmo improvvise e con l’improvviso arrivo di un insolito flauto a trasformare una struttura semplicemente pop in qualcosa di complesso e originale. Alternanze che ritroviamo in tutte le canzoni. La funk Count It Up ricorda Prince arricchita da un testo che, come per altre canzoni a seguire, è un’amara riflessione sulla nostra epoca populista, chiusa e razzista. Le canzoni come Front of house sono quasi tutte inferiori ai tre minuti, dimostrando che la durata non è sinonimo di idea e originalità. Ritorna il funk in Share a Pillow («should we share a pillow? What would you say to that?»). La toccante Open Here, con i suoi archi e fiati è il preludio ad un trittico di canzoni tese fra il pop (di qualità) e il rock. I testi di Goodbye To The Country, Checking on a Message e No King No Princess esprimono chiaramente, anche con ironia, la posizione dei fratelli Brewis sulla fredda ed aristocratica distanza dell’Inghilterra dall’Europa e soprattutto dalla realtà. Cameraman e Daylight Saving non mi convincono pienamente, forse per la troppa tecnica che le rendono un po’ freddine, ma il finale è con il botto con la stupenda Find A Way To Keep, una piccola gemma pop con sonorità sognanti che vanno da Peter Gabriel ai Beatles.

Open Here è il mio invito a tutti voi. Aprite e ascoltate questo disco, conoscete e fate conoscere i Field Music. Lo meritano pienamente.

  • Punctum
  • Spasso
  • Originalità
  • Produzione
  • Longevità
3.8

Riassunto

Artista: Filed Music
Titolo: Open Here
Produttore: David Byrne, Brian Eno, Rodaidh McDonald
Collaborazioni: Sarah Hayes (flauto), Liz Corney (voci), Pete Fraser (sax), Simon Dennis (tromba e flicorno soprano), Cornshed Sisters (coro) e il quartetto d’archi composto da Ed Cross, Jo Montgomery, Chrissie Slater e Ele Leckie
Etichetta: Menphis Industries
Data di pubblicazione: 02 Febbraio 2018
Metacritic: 81

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