Ringrazio la maturità che mi preclude sempre meno generi. Ringrazio la vita di coppia, che calma velleitarie volontà contraddittorie che mi avrebbero tenuto attaccato a un pugno di generi. Forse mi perdo più cose di nicchia, ma tant’è.
Ringrazio te, Lorde, che per la seconda volta ci confermi che la musica pop non significa essere come Rihanna, Adele e altre miliardarie presuntuose. Il pop resta sempre quel genere dove mostrare una gran capacità di semplificazione del complesso, di destrutturazione dell’armonia, senza appiattire l’espressività. Notevole. Infatti non ci riesci quasi mai, e quando ci riesci fai qualcosa come Melodrama.
Secondo album della cantante neozelandese tutta acqua e sapone. Più del primo – il gioco di parole Pure Heroine – Melodrama è un altro passo verso una maggiore creatività. Qui, più che in passato, Ella Marija Lani Yelich-O’Connor è abbastanza a briglia sciolte. Non me la sento di dire che ha dato il meglio, (classe 1996…) anzi: resta ancora una certa tappata espressività. Lo si sente nelle linee vocali che restano abbastanza piatte su motivetti facili. Non nell’interpretazione però, straordinaria, roba che nessuna isterica collega saprebbe rendere senza sbandierare virtuosismo tamarro. Si guardi questo passaggio, quello di Green Light, quando sale di un paio di ottave con delicatezza, senza fartelo notare.
A parte Grimes, che fa tutto da sola, Lorde è un classico di squadra che vince non si cambia. Con dieci produttori elencati, sarebbe stato troppo difficile toppare. E si tratta in questo caso di arrangiamenti fondamentali perché qui, più che altrove, devono andare in soccorso di un cantato che tende ad appiattirsi. Il lavoro di composizione, tra elettronica industriale – già presente in Pure Heroine – e ballate con tastiere minimali, riesce a denotare Melodrama dello stesso carattere degli esordi: questo è un album duro, energico, anche se più dolce del primo (vedi Writer in the Dark, dove si canta rigorosamente in lacrime, ma mai come farebbe Adele, mi raccomando).
E poi c’è la voce. Lorde gioca con la sua voce. I virtuosismi sono notevoli: ritorno nella salita di ottave di Green Light, secondo me l’esempio migliore perché con gran classe (cioè senza urlatelo in faccia) fa una casa molto difficile da fare e bella da ascoltare (a differenza di Adele che fa cose molto difficili. E basta). Eppure il timbro ricorda una cantante di Disney Channel, o qualcosa di uscito da x-factor. Lorde è come Breaking Bad, si ascolta a differenti livelli: tanto buona come sottofondo a una festa con gli amici – e fai contento anche il fratello che si accontenta di poco, quanto con un paio di cuffie per farci una lezione di musicologia.
Ci sono i millennial whoop – le vocalizzazioni di III (una spiegazione su come funziona) – come nel brano The Louvre, ma che poi – ed è qui che capisci che c’è sostanza – dal vivo diventano un’altra cosa.
Ci sono i giri armonici, gli intervalli di III (i millennial whoop appunto), le progressioni di I–V–VI–IV, ovvero i giri armonici che si trovano, con gli stessi intervalli, in una miriade di brani popolari.
Ma state calmi, non importa. Le note sono solo sette. Ci sono begli album fatti con un solo accordo che sono decisamente meglio di qualunque cosa abbia fatto Steve Vai. Tutto sta nell’interpretazione, nel come, lo sappiamo, e anche Lorde. Melodrama ci ricorda che, come dice la citazione apocrifa Ellington, i generi musicali sono due: quelli buoni, e tutti gli altri.
Riassunto
Artista: Lorde
Titolo: Melodrama
Produttore: Lorde, Jack Antonoff, Frank Dukes, Kuk Harrell, Jean-Benoît Dunckel, Andrew Wyatt, Joel Little, Flume, S1, Malay
Etichetta: Lava, Republic Records
Data di pubblicazione: 16 giugno 2017
Metacritic: 91